Neuroscience 2009 Chicago 17-21 ottobre

Una conversazione con Giuliano Taccola sulla sua partecipazione al congresso di Chicago: il più grande momento di comunicazione da 40 anni per gli scienziati che si occupano di neuroscienze

Ho partecipato al 39esimo incontro annuale della Società di Neuroscienze del Nord America Neuroscience 2009, che si è svolto a Chicago dal 17 al 21 ottobre presso il McCormick Place, la mia partecipazione è stata resa possibile grazie al finanziamento ricevuto dalla fondazione Vertical ONLUS.

È la prima volta che vi partecipo. Conta annualmente 30/40 mila partecipanti e il programma per ogni singola giornata di lavori ha lo spessore di un libro. Nel gigantesco centro, una struttura ultramoderna, che ospita il congresso c’è un continuo via vai e tu devi decidere quale è il tuo congresso perché ci sono troppi eventi in contemporanea. La prima impressione è stata di smarrimento, poi ovviamente impari anche se all’inizio ti sembra di essere travolto dal gigantesco, devi respingere l’idea che in un’altra sala si stia facendo qualcosa di più interessante di quello che stai seguendo tu: è una deriva pericolosa e puoi cominciare a fare zapping tra le varie sale perdendo ogni possibilità. Ti devi ritagliare il congresso addosso. Ho seguito il mio ramo di interessi: non c’era una sessione specifica per il midollo spinale ma ad un piano del mega centro c’era la Sezione Poster grande come un campo di calcio, ogni poster è contraddistinto da un numero e da una lettera, i poster cambiano ogni 4 ore (ci sono cioè due sessioni: una mattutina e una pomeridiana) e vengono riuniti per tema.
Quello del poster è uno strumento, che rispetto alle sessioni orali, offre una discussione molto più approfondita e amichevole con gli autori. Ti ritrovi davanti a te, lo scienziato più importante con il suo poster alle spalle disposto a spiegarti quello che ha fatto, pronto a rispondere alle tue domande. Non c’è il palco o il microfono a creare distanza, il relatore non è lontano e riesci a leggerne negli occhi tutta la passione di scienziato.
Sulla lesione spinale c’erano tre diverse sezioni. C’erano poi poster dedicati alla locomozione, all’attività ritmica dei neuroni del midollo spinale, al dolore… È bello tra una sessione e l’altra seguire argomenti che esulano dal tuo campo e che ti permettono di venire a contatto con altri ambiti così per me è stato seguire la sessione dedicata alle neuro protesi per il recupero del cammino e del movimento della mano. Hai la possibilità di conoscere cose nuove che non troveresti sui libri e soprattutto venire a casa con una serie di buoni propositi. Al momento attuale la produzione scientifica è talmente vasta che non puoi pensare di restare al passo con tutto, però avere dei momenti in cui vieni a conoscere quello che si fa nel mondo ti permette di selezionare il tuo studio e puoi accostarti a campi che esulano dal tuo stretto interesse e da cui puoi avere inaspettate ispirazioni.

Quale è stato il tuo contributo al congresso?
Ho presentato il poster sul nostro ultimo lavoro: “Early functional and morphological changes in locomotor networks induced by focal lesion in an in vitro spinal cord injury model”, ossia: “Primi cambiamenti funzionali e morfologici nei circuiti locomotori indotti da una lesione localizzata in un modello in vitro di lesione spinale” quindi un nuovo modello in vitro per lo studio delle lesioni spinali.

Non capisco, che cosa intendi per “modello” e perché il vostro sarebbe nuovo?
Per studiare una lesioni spinale è necessario avere dei modelli animali cioè dei preparati sperimentali in cui è possibile ricreare una lesione spinale. Si può studiare l’evento in laboratorio solo se si ha a disposizione un modello che riproduce la lesione e il modello deve essere, quanto più possibile, simile a se stesso, riproducibile.
Alcuni modelli prevedono la sezione del midollo più o meno completa nell’animale anestetizzato ma questa procedura non ricrea la complessità di una lesione traumatica del midollo spinale perché è una dissezione chirurgica in condizioni perfettamente controllate.
Quindi “in vitro” abbiamo cercato di avvicinarci alle condizioni di una lesione applicando un cocktail di sostanze tossiche a pochi segmenti del midollo: provochiamo il danno in maniera chimica, non meccanica. Infatti, dopo una lesione, non è tanto l’evento fisico quanto la conseguente cascata tossica di sostanze che si liberano che comportano il danno che si amplia in un processo a catena: sostanze che fuoriescono dalle cellule lese e danneggiano le cellule vicine, queste a loro volta danneggiano quelle vicine e così via a catena.
Un ruolo importante, al pari di altri disturbi neurodegenerativi, è giocato dal glutammato, un neurotrasmettitore utilizzato per mediare la comunicazione sinaptica tra le cellule nervose, che risulta essere molto più concentrato all’interno delle cellule che nell’ambiente extracellulare ma che ad una determinata concentrazione extracellulare risulta tossico.
Ma questo è solo uno degli elementi che costituiscono il nostro cocktail, infatti nelle lesioni spinali come in altre malattie neurodegenerative verifichiamo una funzione tossica esercitata dai radicali liberi che vengono generati nelle cellule rimaste prive di ossigeno. Dal punto di vista chimico sono specie reattive dell’ossigeno che hanno un elettrone solo, spaiato, nell’orbita esterna, questo il motivo per cui li si rappresenta con un puntino sopra la sigla dell’elemento chimico, e questo vuol dire che sono specie straordinariamente reattive, determinate a prendere un altro elettrone o a cedere quello che hanno per raggiungere il doppietto, la stabilità. Quindi nell’ambiente biologico queste specie esplicano la loro reattività soprattutto aggredendo, per esempio, i lipidi che costituiscono le membrane delle cellule (da lì la perossidazione lipidica). Una volta che il radicale dell’ossigeno reagisce con una molecola inerte, come il lipide, questo a sua volta diventa un radicale e a sua volta amplificherà la reattività. Spesso poi il radicale si può anche dissociare e la sua attività si raddoppia. Per questo si parla di reazione a catena.
I radicali possono sia attaccare le membrane alterando fluidità, forma e capacità di contenere, sia aggredire una sostanza con significato biologico, direttamente il DNA, le proteine o qualche enzima e ne alterano la funzione.

Nella ridotta porzione di midollo spinale che viene a contatto con la soluzione tossica abbiamo poi provocato degli sbilanciamenti metabolici come quelli che sono stati registrati subito dopo una lesione. La soluzione quindi contiene poco ossigeno e niente glucosio, come in un’alterata circolazione sanguigna e poi abbiamo diminuito il pH (reso quindi acido) e la pressione osmotica come in seguito ad un edema.
Quindi nel poster che abbiamo presentato a Chicago abbiamo descritto un modello per ricreare le conseguenze di una lesione spinale però in vitro ma soprattutto lo abbiamo utilizzato per chiarire come una lesione spinale si sviluppa nei primissimi istanti dopo un trauma.

Avete presentato un poster con il modello in vitro, questo significa che ci sono molti modelli diversi, quali sono i modelli utilizzati?
I modelli utilizzati oggi sono “in vivo” dove il midollo spinale dell’animale viene lesionato tramite un colpo o un peso (che cade proprio dove deve cadere), o con diversi tipi di lesioni meccaniche: con la clip da aneurisma che chiude le vene e quindi arresta il flusso sanguigno, con passaggio di corrente elettrica, con un palloncino che gonfiato provoca lo schiacciamento del midollo… però nessun modello riesce a ricreare al meglio quanto accade nella realtà. Basti pensare che nei modelli “in vivo” si espone prima, tramite laminectomia, il midollo perché possa subire il danno mentre nella realtà questo accade dopo.
Non esiste il modello che ricrea perfettamente le condizioni reali e quindi è importante che ci siano tanti modelli perché uno meglio di un altro si presta a studiare un aspetto particolare del fenomeno ma soprattutto permettono la verifica incrociata.

Con quali sentimenti, emozioni ci si mette a confronto in una simile arena, si sottopone a giudizio il proprio lavoro? Insomma, come ti sei sentito davanti al tuo poster?
Inizialmente si rimane intimoriti per il numero e la quantità delle forze in campo anche se si rafforza la convinzione che quella rimane la comunità scientifica con cui ci si deve confrontare, quelle le persone e i laboratori di riferimento anche in una forma di competizione sana.
Mi sono reso conto che il nostro lavoro si inserisce bene, è molto apprezzato. Il nostro poster inoltre era posto tra la comunicazione di Rossignol, di Montreal personalità di spicco in questo campo, e la comunicazione di McCrea dello Spinal Cord Research Centre di Manitoba dove esiste un centro dedicato alla lesione della spina dorsale. Uno volta attaccato il mio poster sono arretrato un paio di metri, l’ho guardato in quel intorno e ho dovuto riconoscere che effettivamente ci stava molto bene: le nostre conclusioni si sposavano alla perfezione con le conclusioni raggiunte nei loro studi in vivo. Mi sono reso conto che, al di là del confronto ìmpari per quanto riguarda i mezzi e le forze che riescono a mettere in campo anche grazie al lavoro delle fondazioni private, siamo riusciti a catalizzare la loro attenzione e a trovare un reciproco interesse nella discussione e ispirazioni a vicenda. È inevitabile che all’inizio, smarrito e anche un po’ intimorito dalla vastità e dai mezzi, mi chiedessi “Che cosa ci faccio qui?” ma quando vedi che il tuo poster ci sta bene lì e si confronta al meglio con quanto stanno facendo nel mondo i migliori laboratori c’è la soddisfazione di appartenere a quella comunità.
Al mio ritorno in Italia, poi, abbiamo ricevuto un ulteriore riconoscimento da parte del Prof Vinay, un importante scienziato dell’Université de la Méditerranée di Marsiglia, giunto in visita alla SISSA alla fine di ottobre che ha lodato il nostro approccio sperimentale nello studio delle lesioni spinali.

Quello che ho più apprezzato, forse per le dimensioni esagerate dell’incontro, è stata l’atmosfera: ci sono tantissime persone concentrate sul lavoro di ricerca, proprio e altrui, e quindi si crea una forte comunicazione e la consapevolezza di appartenere a una comunità internazionale che periodicamente si riunisce e partecipa i propri risultati. Tutto questo ti mette in una disposizione molto fertile, molto creativa: è il valore aggiunto di questi congressi, oltre ad imparare ti vengono le idee e pensi a cosa potresti fare quando avrai fatto ritorno nel tuo laboratorio.

È poco rassicurante andarsi a confrontare con i migliori però è il modo per renderti conto quanto vale quello che fai e darti propositi per migliorare.

È possibile indicare quale sia la direzione che sta prendendo la ricerca sulla lesione del midollo spinale?
Mettendo in successione i diversi congressi degli ultimi anni riesci ad intravedere le nuove direzioni che sta prendendo la ricerca.
Per esempio l’attenzione che si sta ponendo alle lesioni cervicali è una cosa del tutto nuova: alcuni anni addietro erano pochi i laboratori che lavoravano e studiavano gli esiti di una lesione cervicale essenzialmente perché non si avevano gli strumenti per farlo.
Al contrario, oggi iniziano a diffondersi i modelli di lesione cervicale in laboratorio e le scale per la valutazione comportamentale nell’animale con paralisi degli arti anteriori.
Una nuova direzione che ha intrapreso la ricerca sulle lesioni spinali è l’attenzione alle lesioni incomplete che, da un punto di vista clinico stanno diventando le più rappresentate.
In molti hanno apprezzato il nostro modello proprio perché è un modello di lesione incompleta standardizzata, riesce cioè a ripetere la lesione parziale del midollo spinale in maniera sempre uguale.
Le ingenti risorse che all’estero ottengono i laboratori di ricerca permettono di rivolgere una sempre maggiore attenzione verso lo studio delle lesioni croniche per le quali gli animali da laboratorio mielolesi vanno accuditi e mantenuti per più di 4 settimane. È molto costoso e richiede strutture e personale specializzate. L’ICORD di John Steeves, per esempio, riesce a fare questo tipo di studi.
È cambiato anche molto il linguaggio, si parla molto più di CPG di quanto non si facesse un tempo. Si è superata la logica per cui una lesione spinale era banalmente considerata come una semplice disconnessione, una interruzione, in realtà si pone sempre più attenzione alle informazioni che rimangono contenute al di sotto della lesione. Sono segnali di una rivoluzione sempre in corso.

A che cosa stanno lavorando le varie fondazioni che si raggruppano sotto la sigla ICCP?
Ho trovato molti poster con lavori scientifici finanziati da privati, per esempio con il simbolo di Wings for life, la fondazione della Red Bull, della Christopher and Dana Reeve, Rick Hansen, Spinal Trust, e varie altre fondazioni nazionali e governative. Ti rendi conto quanto vasto sia all’estero il sostegno dei privati e del pubblico alla ricerca. Poi sono tornato qui ad Udine (dove il nostro progetto scientifico tanto apprezzato in parte è stato portato avanti) ed ho trovato tanto lavoro e non solo scientifico. Studio ed esperimenti ma anche trasportare settimanalmente gli animali da laboratorio tra Udine e Trieste, sbrigare le procedure burocratiche nella gestione del laboratorio, provvedere al minimo supporto tecnico necessario alle apparecchiature…da due mesi a questa parte devo fare tutto questo da solo (e i trasporti a mie spese)…e viene da chiedersi quanto sarebbero felici quelle mega associazioni nord americane di contribuire ad un progetto come il nostro.

pubblicato sul n.30 El Cochecito dicembre 2009

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