Nejada Dingu il 7 novembre 2017 ha conseguito, con lode, il dottorato presso la SISSA

Nejada Dingu il 7 novembre 2017 ha conseguito il dottorato cum laude presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, SISSA, con la tesi “Afferent information modulates spinal network activity in vitro and in preclinical animal models” (L’informazione afferente modula l’attività dei circuiti spinali in vitro e in modelli preclinici).

Nejada Dingu riceve le congratulazioni da parte di una delle esaminatrici

Nejada Dingu, che ha conseguito la laurea magistrale in Biotecnologie Sanitarie presso la Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Udine il 18 aprile 2013 con una tesi sperimentale, interamente svolta nel Laboratorio Spinal, dal titolo “L’attivazione dei circuiti locomotori spinali modula l’eccitabilità del midollo dorsale”, dalla fine di maggio all’inizio di luglio, grazie alle collaborazioni scientifiche che il dott. Taccola ha creato con diversi laboratori in varie parti del mondo, è andata a fare esperienza di ricerca “all’estero” presso il laboratorio del dott. Deumens, all’Università Cattolica di Louvain, l’UCL, in Belgio. Presso quel laboratorio ha lavorato con modelli preclinici al fine di valutare in che modo l’attività del midollo dorsale possa essere regolata in un’ottica di possibili strategie terapeutiche per alleviare il dolore neuropatico. Il soggiorno di studio e ricerca di Nejada è stato interamente sostenuto dalla FAIP.

Rita: Cara Nejada, cominciamo con una breve valutazione del percorso che ti ha portato al dottorato. E’ stato un periodo importante, impegnativo, si è trattato di ben quattro anni. Ne vogliamo parlare prima di raccontare i contenuti e l’emozione della tesi?

Nejada: Innanzitutto vorrei esprimere una sensazione personale: quattro anni sembrano un periodo molto lungo e invece sono volati. Mi sono ritrovata a pensare a questi quattro anni subito dopo aver consegnato la tesi e mi sono stupita che siano passati così velocemente.

R: Evidentemente l’importanza del lavoro ti ha totalmente coinvolta… Come definiresti l’inizio di questo periodo, con un aggettivo, una piccola descrizione per poter trasmettere la bellezza e l’importanza del lavoro di ricerca, del che cosa significa fare ricerca?

N: Hai la possibilità di toccare con mano concetti fino a quel momento solo teorici e capisci come puoi metterli in pratica, e poi l’inizio è sempre stimolante, impegnativo: si imparano cose nuove, sei costantemente bombardata da molte, nuove informazioni che vanno assimilate e messe in pratica al meglio.

R: In che cosa è consistito imparare a fare il lavoro di ricerca? Guardare attraverso un microscopio? Studiare le registrazioni al computer? Sono tutte queste cose insieme? Insomma che cosa vuol dire fare ricerca?

N: E’ la combinazione di una serie di componenti. Innanzitutto bisogna acquisire manualità e destrezza: se la preparazione che noi utilizziamo non è funzionante al 100 per 100, quindi non è stata manipolata in un certo modo, l’esperimento non ha un buon esito. Quindi prima di tutto si tratta di acquisire manualità, capire come fare, provare e riprovare. Ovviamente il microscopio si usa, lo adoperiamo tutti i giorni e poi bisogna conoscere bene le tecniche di registrazione perché ogni tecnica è diversa dall’altra e ogni tecnica ti permette di ricavare informazioni diverse.

R: Quindi è stato questo il tuo punto di forza nel lavoro di ricerca?

N: Sì, guardare, cercare di imparare, di apprendere il più possibile e poi mettere in pratica.

R: Qual è l’atteggiamento importante per il ricercatore, quello che arricchisce nella ricerca, quello che ti fa fare il salto di qualità rispetto a quello che stai cercando?

N: L’interesse e la curiosità credo che siano fondamentali… poi bisogna anche essere molto, molto pazienti, perseveranti, non lasciarsi abbattere da un risultato negativo, da una giornata andata male. Bisogna lasciarsi alle spalle quanto non ha funzionato e poi ricominciare con nuovo slancio il giorno dopo avendo ben presente l’obiettivo e la possibile via da seguire per raggiungerlo.

R: Quindi fare il ricercatore richiede anche di avere un certo tipo di carattere: determinazione, pazienza, continuità.

Con quale progetto hai iniziato il lavoro di ricerca?

N: Con un progetto che aveva lo scopo di studiare l’interazione tra circuiti locomotori spinali e circuiti dorsali, legati alle funzioni propriocettiva e nocicettiva.

R: Quali altre esperienze ti ha permesso il laboratorio Spinal?

N: Subito dopo la fine della tesi specialistica e l’inizio del dottorato ho passato tre mesi a Lovanio in Belgio. Là con il dott. Deumens mi sono occupata principalmente di dolore neuropatico studiato in modelli preclinici.

R: Si è trattato di ripetere per quattro anni gli stessi esperimenti?

N: No, si tratta di esperimenti diversi. Si procede per domande e risposte. Facciamo delle ipotesiche verifichiamo con una serie di esperimenti. L’attività sperimentale si ferma quando il gruppo di esperimenti, detto anche campione sperimentale, è sufficientemente numeroso da un punto di vista statistico. A quel punto inizia un lavoro di analisi dei dati che culmina con l’analisi statistica al fine di avere un’informazione quantitativa del fenomeno studiato. Non si tratta di fare un’attività puramente osservazionale e descrittiva, ma di dare un significato quantitativo all’effetto che si sta osservando.

R: Quindi si è trattato di un percorso. Puoi descriverne le tappe, magari solo per capitoli, in maniera estremamente sintetica?

N: Il mio progetto consisteva nel valutare gli effetti che il training passivo ha sui circuiti spinali in vitro. Perché “training passivo”? Perché viene utilizzato generalmente in clinica nei trattamenti neuroriabilitativi. Al giorno d’oggi però non si sa esattamente quali siano gli effetti che la neuroriabilitazione promuove a livello dei circuiti spinali. Quindi io ho studiato i cambiamenti che la semplice mobilitazione passiva degli arti è in grado di indurre sul midollo spinale (MS). Per fare questo ho prima verificato che il training facesse arrivare al MS dei segnali. Lo step successivo è stato quello di identificare quali sono le modificazioni che hanno luogo a livello spinale in seguito all’ingresso di tutta una serie di informazioni periferiche. Ovviamente sono andata a studiare sia i cambiamenti indotti sui circuiti dorsali, preposti alla propriocezione e alla nocicezione, sia quelli indotti sui circuiti ventrali, preposti alla funzione locomotoria. Questo è, a grandi linee, il percorso fatto.

R: Allora possiamo passare alla tua tesi di dottorato, al tuo PhD, che si è tenuta alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, la SISSA, di Trieste il 7 novembre.

N: Lo studio che ho fatto in questi quattro anni è il primo nel suo genere: valuta l’effetto del movimento passivo degli arti sui circuiti spinali. Un risultato importante che ho avuto è che la durata della sessione di training influenza in maniera diversa differenti circuiti spinali. Infatti, sessioni di training di breve durata (30 minuti) hanno un effetto sui circuiti ventrali locomotori facilitando il pattern locomotorio.

Diversamente sessioni di training lunghe (90 minuti) perdono la capacità di facilitare i circuiti locomotori, influenzano invece i circuiti dorsali inducendo un’iperattività degli stessi. Il significato di questa iperattività non è al momento noto, va investigata in modelli preclinici per capire che tipo di funzione possa avere: se promuove stati dolorifici cronici oppure, al contrario, previene l’insorgenza di neuropatie.

R: E in relazione ai circuiti ventrali perché viene perso l’effetto facilitatore della locomozione?

N: Abbiamo cercato di investigare i meccanismi di funzionamento: sembra che a livello di motoneuroni, i neuroni che trasmettono il segnale alle fibre muscolari, ci sia un aumento di segnali inibitori in seguito a lunghe sessioni di training.

R: Come mai?

N: Non lo sappiamo ancora. Per rispondere a questa domanda è necessario studiare i circuiti che si trovano a monte dei motoneuroni, i circuiti di interneuroni ventrali, per capire quali interneuroni ventrali vengono attivati durante una lunga sessione di training.

R: Si spalanca un mondo da investigare…

N: Sì, siamo riusciti per il momento a rispondere a una parte delle domande, ma ci sono ancora numerose questioni aperte.

R: Quindi la discussione dopo la tua esposizione deve essere stata molto interessante anche per i presenti, intendo gli esaminatori, il pubblico… che cosa ti hanno chiesto?

N: Abbiamo discusso del progetto sul training passivo e di altri due progetti che ho parallelamente seguito in questi anni e che sono stati pubblicati su riviste internazionali.

Nel primo lavoro ho dimostrato che protocolli di elettrostimolazione capaci di attivare il pattern locomotorio, hanno altresì un effetto sull’attività dei circuiti dorsali, preposti a propriocezione e nocicezione.

Il secondo lavoro è una continuazione dell’attività svolta a Bruxelles sul dolore neuropatico. Con il dott. Deumens e il suo gruppo abbiamo dimostrato che una neuropatia periferica induce neuroinfiammazione centrale, principalmente a livello del corno dorsale del MS, e promuove l’espressione di un particolare marcatore molecolare che potrebbe essere coinvolto nella resistenza agli analgesici classici tipica delle condizioni di dolore cronico.

R: La tua attività di ricerca potrebbe avere già un interesse, una ricaduta per la clinica?

N: Parlando di neuroriabilitazione, credo che sia fondamentale definire le caratteristiche del training in termini di durata e intensità della singola sessione, numero di sessioni ecc. Il mio lavoro fornisce delle indicazioni chiare sulla durata della sessione di training dettate da specifiche modificazioni neurofisiologiche a livello di circuiti spinali e singoli neuroni. Affinché il trattamento neuroriabilitativo fornisca un effetto terapeutico positivo, è assolutamente necessario standardizzare i protocolli.

R: E per quanto riguarda i farmaci?

N: La neuroriabilitazione da sola può non essere sufficiente e spesso va combinata con altri trattamenti come elettrostimolazione e farmacologia. Per quanto riguarda la farmacologia bisognerebbe identificare farmaci che promuovano l’eccitabilità dei circuiti spinali, che li rendano favorevoli a rispondere in un certo modo alla terapia riabilitativa e che, d’altra parte, abbiano pochi effetti collaterali e siano utilizzabili per lunghi periodi.

R: Quale è l’ambito di ricerca in cui vorresti poter continuare a lavorare o altro cui vorresti dedicarti?

N: Il Sistema Nervoso Centrale mi interessa veramente molto, vorrei quindi continuare a seguire un ambito di ricerca in cui si studia il MS, magari combinando studi in vitro e in vivo. E poi vorrei continuare ad imparare cose nuove, provare ad uscire un po’ dal mio ambito, fare più esperienze, cercare di allargare di più i miei orizzonti.

R: In conclusione possiamo dire che il laboratorio Spinal è stato importante per la tua formazione o un qualsiasi altro ambito di ricerca avrebbe risposto alle tue attese?

N: Sì, senz’altro il laboratorio Spinal è stato molto importante per la mia formazione e attività di ricerca sotto la guida di Giuliano Taccola e del prof. Andrea Nistri. Qui mi sono avvicinata all’elettrofisiologia e ho potuto perfezionare molte tecniche che arricchiranno il mio bagaglio di competenze professionali. I miei compagni di viaggio poi più che colleghi si sono dimostrati grandi amici.

R: Ora si apre lo scenario del futuro. Tanti auguri!

Nejada Dingu alla SISSA con i colleghi subito dopo la discussione di dottorato

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