Il Progetto Spinal alla Sissa di Trieste

Dietro: Andrea Nistri e Dario Olivieri. Davanti da sinistra: Sara Ebrahimi, Graciela Mazzone, Elena Bianchetti, Miranda Mladinic

Al convegno che si è svolto presso il Gervasutta di Udine, in novembre, il prof.Andrea Nistri della Sissa ha fatto una luccicante presentazione del lavoro di ricerca che il suo gruppo sta conducendo. Ho provato il desiderio di andare a vedere.
Sono andata a Trieste alla fine di novembre 2012.
Andrea Nistri, professore di Farmacologia Cellulare e Molecolare alla Scuola Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, mi ha presentato i suoi collaboratori e il loro lavoro. Più tardi ho visitato i laboratori.
Ci siamo seduti in cerchio e, dopo la presentazione del prof. Nistri, ciascuno ha fatto una descrizione sintetica del proprio lavoro di ricerca.

Andrea Nistri: “Noi siamo la parte triestina del Progetto Spinal, ormai operativo da diversi anni, in collaborazione con gli amici e colleghi di Udine. Qui siamo un grosso gruppo di 24 persone di cui 8 dedicate al Progetto Spinal: Graciela, Miranda, Soheli, Elena, Pryia, Sara, Dario, Ayisha.
Il laboratorio è diviso in tre filoni di ricerca: oltre allo studio del midollo spinale, uno si occupa di meccanismi di base del dolore specialmente trigeminale, il terzo si occupa di tematiche relative alla degenerazione dei motoneuroni nel tronco encefalico come modelli di SLA. Sono tre attività che chiaramente collaborano tra di loro, abbastanza affini ma ciascuna con le proprie attrezzature, le proprie tematiche.

Rita: quelli che si occupano specificamente della studio del midollo spinale seguono percorsi diversi immagino…
Andrea Nistri: Per quanto riguarda il Progetto Spinal abbiamo una suddivisione anche in vari laboratori nel senso che c’è un laboratorio di biologia molecolare, che fa anche biologia cellulare -questo vuol dire immunoistochimica, microscopia confocale e altre cose affini- e in più c’è un’attività di elettrofisiologia del midollo spinale, in parte simile a quella che tu hai visto a Udine. In questa ottica utilizziamo vari preparati, oltre a quelli che conosci che hai visto da Giuliano. Per esempio Graciela lavora su colture organotipiche del midollo spinale e questo le permette di fare studi…

Rita: Che cosa vuol dire organotipiche?
Andrea Nistri: Sono colture che a differenza delle colture primarie riproducono la struttura architettonica del tessuto. Se prendo una fettina di tessuto e faccio una coltura primaria le cellule cercano di crescere come pare loro, non hanno una struttura. Le colture organotipiche invece, tramite un meccanismo di coltura particolare che implica la rotazione del preparato per settimane e settimane, si appiattiscono fino a mostrare i pochissimi strati che le compongono preservando la struttura, l’architettura di base del midollo spinale. Quindi si vede una parte ventrale, una parte dorsale, una parte centrale, la sostanza grigia, la sostanza bianca: in una coltura organotipica c’è di tutto un po’ in maniera, diciamo così, non caotica, ma strutturale.

Graciela Mazzone in laboratorio

Rita: Che cosa studia Graciela con questo particolare preparato?
Graciela Mazzone: Induco un danno al modello di midollo spinale mediante l’applicazione del Kainato e applicando sostanze farmacologiche tento di ridurre il danno che si è verificato dopo settimane dalla lesione. Mi occupo in particolare di valutare il danno nel modello in vitro. Poi confronto i dati ottenuti con il modello con cui lavorano Miranda, Elena, Sara e Giuliano.

Andrea Nistri: Graciela svolge questa ricerca da due-tre anni, in collaborazione con gli altri ma anche con la sua autonomia perché qui tutti hanno un loro progetto.

Graciela Mazzone: Il mio progetto consiste nel cercare di spiegare il meccanismo che provoca il danno del midollo spinale, trovare le sostanze responsabili nel favorire il rilascio di sostanze tossiche che possono indurre la morte neuronale e gliale, cercare sostanze che possano ridurre il danno. Mi occupo di questa ricerca da quattro anni, da quando ho incominciato a lavorare con il prof. Nistri qui alla Sissa.

Rita: posso sapere quale è il progetto di ciascuno?

Elena Bianchetti: mi occupo del danno di tipo ischemico al midollo spinale. L’ischemia ha come effetto una diminuzione della pressione parziale dell’ossigeno. Questa diminuzione comporta una serie di cambiamenti a livello chimico dovuti per esempio ad un pH più acido, ai radicali tossici dell’ossigeno che aumentano in concentrazione. L’ischemia provoca un danno, inizialmente di tipo acuto e poi tardivo. Il modello di midollo spinale a cui lavoro io ha una durata di circa 24 ore, quindi lo scopo del mio progetto è valutare e caratterizzare che cosa succede nelle 24 ore successive al danno: quali cellule muoiono, con che meccanismo muoiono. E’ come se fosse un film giallo in cui ci sono i protagonisti, i coprotagonisti, meccanismi di morte… chi ha ucciso chi… Una volta che si è capito che cosa fanno tutte le cellule, si può definire un programma per bloccare la morte cellulare.

Rita: Come viene provocata l’ischemia?
Elena Bianchetti :Attraverso sostanze chimiche che cercano di riprodurre la situazione chimica indotta dall’ischemia. Come dicevo, nel mio modello, il midollo è sottoposto a diminuzione di ossigeno, assenza di glucosio, pH di tipo acido e in più vengono introdotti dei radicali liberi dell’ossigeno.

Rita: Quindi ci saranno delle conseguenze ben differenti dal tipo di danno che viene provocato nel preparato di Graciela…
Elena Bianchetti: La differenza deriva dal tipo di modello che utilizziamo, quello che adopero io mi permette di capire cosa capita nelle 24 ore successive al danno, mentre il modello di Graciela ha la peculiarità di poter essere studiato nel lungo periodo. Io studio il danno in fase acuta mentre Graciela osserva che cosa succede a lungo termine.

Rita: tra di voi c’è scambio di informazioni, c’è collaborazione?
Elena Bianchetti: C’è un confronto continuo anche per cercare di risolvere insieme i problemi sperimentali che insorgono. Abbiamo dei meeting fissi per discutere dei problemi che abbiamo incontrato e cerchiamo il modo migliore per interpretare i dati.

Rita: Quante ore di laboratorio si fanno ogni giorno?
Elena Bianchetti: Dipende dagli esperimenti che dobbiamo eseguire, alcuni richiedono una cura particolare quindi si lavora anche fino alle 10 di sera. Invece i periodi dedicati all’analisi dei dati sono più regolari.

Rita: Miranda Mladinic, lei ha presentato mille volte il suo lavoro ma le vorrei chiedere di nuovo di raccontare quale è la sua parte di lavoro nel progetto Spinal.
Miranda Mladinic: Ultimamente sono molto interessata a queste cellule un po’ misteriose, le cellule ependimali, che si trovano nel canale centrale in diretto contatto con il fluido cerebrospinale. Si pensa che queste siano le cellule staminali del midollo spinale dato che mostrano le caratteristiche tipiche delle cellule staminali. In coltura, dopo l’evento lesivo, incominciano a proliferare e migrano verso la parte ventrale e dorsale lesa. Di queste cellule si conosce poco. In letteratura sono descritte come staminali però non sono molto conosciute.

Rita: Come ha incontrato queste cellule?
Miranda Mladinic: Per caso. Stavo osservando una cosa diversa, studiavo un fattore di trascrizione che è attivato nei motoneuroni dopo la lesione, un marker della lesione nei motoneuroni.

Rita: Prima di questo incontro a quale linea di ricercasi si dedicava?
Miranda Mladinic: Dei meccanismi di morte cellulare, quello di cui ci occupiamo un po’ tutti anche se in modo diverso. Io sono biologa molecolare e ho lavorato sulla rigenerazione degli assoni, delle fibre neuronali nel m.s. e, in questi ultimi anni, studio i meccanismi di morte cellulare.

Andrea Nistri: Quando Miranda dice biologia molecolare intende dire che studia geni e molecole che hanno un ruolo, che hanno un particolare effetto fisiologico o patologico. Quando si tratta di biologia cellulare, che sia attività genica o sintesi di proteine, osserviamo strutture integrate nella funzione della cellula la quale viene poi studiata con metodiche di elettrofisiologia . Quindi il lavoro che fa Elena, per esempio, è un lavoro di biologia cellulare, prevalentemente, anche se uno ad un certo punto può dire: ho visto una variazione nella struttura della cellula, c’è una certa strana proteina, utilizziamo dei metodi di biologia cellulare per identificarla. Poi magari Dario e Sara andranno a studiare che cosa succede se questa particolare proteina è modificata dal punto di vista dei segnali elettrici e locomozione fittizia.

Dario Olivieri: Lavoro parallelamente al progetto di Graciela, quindi lavoro anch’io sul danno chimico e le prime fasi del danno eccitotossico. Cerco di porvi rimedio con l’utilizzo di sostanze chimiche. In particolare mi occupo di recettori particolari espressi all’interno del m.s., cerco di capirne il funzionamento: sono recettori per il glutammato, sostanza che è in grado di aumentare l’eccitazione complessiva del sistema, cerco di capire se diminuendo o aumentando l’attività di questi recettori ho dei cambiamenti a livello fisiologico del mio preparato, per cercare di fermare o di rallentare il danno successivo alle prime fasi.

Rita: Da quanto tempo ti dedichi a questi esperimenti?
Dario Olivieri: Lavoro qui da circa un anno e mezzo

Rita: Lo so che i tempi della ricerca sono lunghi ma in questo periodo di studi e osservazioni qualche cosa è cambiato?

Dario Olivieri: Sì. Anche se sono piccoli passi, si tratta si tratta di imparare ad analizzare i dati registrati degli esperimenti, di metterli insieme, comprendere il significato generale. Bisogna imparare un linguaggio.

Andrea Nistri: Qui tutti noi siamo interessati ai fenomeni che si verificano in una fase precoce del danno. Cerchiamo di capire perché il danno si estende e come potremmo tentare di arrestarlo. Per questo dobbiamo conoscere per filo e per segno i meccanismi.
Esistono dei meccanismi endogeni per proteggere le cellule nervose, e la stessa glia da tutta una serie di fattori lesivi. Perché questi falliscono nel caso del danno? Leggevo di recente una interessante review che sostiene, con dati alla mano, che anche in una zona del cervello che è molto vulnerabile al Parkinson, alla SLA all’Alzheimer etc, nella stessa zona non muoiono mai tutte le cellule, ci sono sempre i sopravvissuti e non sono certo pochi. Il problema è capire quale virtù abbiano le cellule sopravvissute che le altre non hanno. E’ un pochino quello che sta facendo Graciela studiando il preparato dopo un lungo intervello di tempo dalla lesione.

Rita: Quante cellule sopravvivono?
Andrea Nistri: Tante. Leggevo che nel Parkinson il numero delle cellule morte non aumenta con l’aumento della malattia, raggiunge una specie di plateau, idem nell’Alzheimer. Quindi c’è sempre un terzo circa di cellule, nella stessa zona, che sopravvive e in molti altri casi ne sopravvive più della metà. Quindi c’è una strana disparità tra condizione clinica e lesione anatomica o istologica

Rita: Nel midollo spinale le cellule sopravvissute che cosa fanno?
Graciela Mazzone: liberano glutammato. Stiamo cercando di caratterizzare quello che queste cellule possono fare

Rita: E oltre a liberare glutammato che cosa fanno, aspettano di morire o cercano di mettere in atto altre strategie?
Graciela Mazzone: In realtà stiamo vedendo che riescono, un pochino, a dividersi e a generare nuove cellule: questa è la speranza. Cerchiamo di vedere come stanno, se dopo un po’ di tempo muoiono anche loro, se muoiono perché invecchiano o muoiono perché non hanno più nutrimento, perché non hanno collegamento tra loro. Stiamo studiandolo. La cosa interessante é vedere che cosa succede a distanza di due o tre settimane. Il nostro preparato dura fino a due mesi in vitro per cui ci permette di studiare il danno a lungo termine.

Rita: Tra di voi confrontate costantemente il vostro lavoro e i vostri dati, questo confronto avviene anche con altri laboratori?
Andrea Nistri: E’ una cosa buffa, esiste il research gate una rete di informazione gratuita, un sistema di aggiornamento al quale ti registri e quando pubblichi qualcosa loro ti fanno vedere quali sono, nella letteratura internazionale, gli altri 20 articoli strettamente collegati al tuo: sono tutti nostri. Siamo molto isolati in questo ambito di ricerca.

Rita: Vi siete dati una spiegazione di ciò?
Andrea Nistri: Noi siamo fortunati a poter fare uno studio multidisciplinare che pochi riescono a fare: si tratta di mettere insieme le colture dei preparati, l’elettrofisiologia cellulare di rete con la biologia molecolare, la microscopia confocale con…. insomma sono pochi che, sotto lo stesso tetto, riescono a mettere insieme tutte queste cose e sicuramente ci vuole un gruppo grosso per poterlo fare.
Il secondo motivo è che tradizionalmente la ricerca sul m.s. è fatta con gli animali in vivo, dopo lesione, a distanza di settimane, mesi. Però io ho forti dubbi sulla validità di quei modelli, che non riescono poi a spiegare la situazione in clinica. Ci sono dei forti limiti.

Pryia sta imparando, è l’ultima studentessa arrivata, una ragazza molto brava, viene dall’India.

Aiysha Shabbir

Aiysha Shabbir, viene dal Pakistan, è qui da due anni, fa un lavoro di elettrofisiologia simile a quello che fanno anche Sara e Dario, però è interessata essenzialmente a due fenomeni: a- come stanno i motoneuroni sopravvissuti, cioe’ come stanno funzionalmente in termini di risposte elettriche e b- comprendere l’effetto dell’anestetico generale sulla sopravvivenza delle cellule perché una anestesia generale, almeno nei nostri dati, sembra proteggere molto.

Questo è un esempio interessante di collaborazione: da una parte una persona fa elettrofisiologia e studia un protocollo in termini di sopravvivenza, funzioni elettriche etc però se non c’è collaborazione con Miranda o qualcun altro bisognerà poi sapere quante cellule ci sono e quindi questo è sempre un lavoro integrato da varie competenze.

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Sara Ebrahimi

Sara Ebrahimi nel suo set up registra l’attività di fictive locomotion delle reti ventrali del midollo spinale dopo vari tipi di lesione, soprattutto eccitotossica. E’ interessata a possibili effetti di neuroprotezione esercitati da farmaci, per es. dal riluzolo, dal metilprednisolone…
Ha al suo attivo molte pubblicazioni e il prossimo anno andrà a lavorare alla Columbia University di New York, dove le hanno già offerto un posto.

La ricerca è la leva dello sviluppo di un paese e lievito della speranza.

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